VILNA

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view post Posted on 2/4/2011, 21:09




La capitale della Lituania, baricentro della cultura ebraica e della lingua Yiddish, ha conosciuto l’olocausto più sistematico che la storia ricordi. Vilna era un pentolone dove ribollivano sette popoli, sette mitologie, sette letterature e sette nazioni. Ma qui è nato anche Felix Dzierzynski, inventore dello stato di polizia staliniano e…

Sei di mattino. Ho appena passato lafrontiera. Finisce la Polonia e finisconoanche le palizzate, i passi carrabili e irecinti. Mucche, cavalli e cani vagano liberi.In Lituania solo colline ricoperte di boschi euna luce blanda. Spiedini all’armena fumanoin un’osteria sulla strada. Incontro skinhead,ragazzi dal cranio rasato che bevonobirra in silenzio, indifesi nel loro selvaggiotravestimento. Le ragazze magre dai capellilunghi hanno gli occhi della Madonnadell’Umiltà del Beato Angelico e le pancecostellate di piercing. Sono tutti sfiniti,sgualciti, lasciano la nuova Europa per sprofondarein quella vecchia.Vado a Vilna, dove, finisce la Mitteleuropa.È Vilna il capolinea di quel mondo affascinantee terribile in bilico tra imperi checomincia a Sarajevo, di quello spazio di conflittie frontiere mobili che sfiora ilMediterraneo a Trieste, sale verso Budapestattraverso i meandri dei grandi fiumi, giocacon l’ex Cortina di ferro, prosegue perVienna e Bratislava e zigzaga verso il Balticofra Cracovia, Cernovcy e Vitebsk. Vilna,mitica Gerusalemme del Nord degli ebrei,spazio plurale delle culture, luogo dalla complessitàinimmaginabile e perduta, cuore diun’Europa che oggi sentiamo orientale elontana, e invece è il centro geografico perfettodel continente che comincia sull’oceanoe finisce sugli Urali. Vilna, città di poeticome Thomas Venclova o il “vate” AdamMickiewicz; di uomini come il Nobel dellaletteratura Czeslaw Milosz, uno che si sentivacosì lontano dall’idea moderna e sciaguratadi nazione da autodefinirsi l’ultimo esemplaredi una razza estinta.Le foto di questo reportage mostrano qualcosache a Vilna non si vede. Briciole di unmondo estinto. Vilna, baricentro della culturaebraica e della lingua Yiddish, conobbel’Olocausto più sistematico d’Europa. Lafollia assassina si scatenò implacabilmente ein un lampo, in due anni appena, cancellò dalmondo il novantacinque per cento degliebrei della città. Ma non solo quel mondofinì. Vilna era un pentolone dove ribollivanosette popoli, sette mitologie, sette letteraturee sette nazioni; una pentola a pressione cheprodusse poeti e criminali, menti satanichecome Feliks Dzierzynski, inventore dellostato di polizia staliniano, o soldati visionarie appassionati come Jozef Pilsudski, il maresciallopolacco che ridiede spazio vitale al suoPaese schiacciato fra Russia e Germania.Fotografie di un mondo estinto, si diceva.Impossibile, obietterà qualcuno. Invece èpossibile, perché Vilna è una città immateriale.Qui il vero è semplicemente ciò in cuisi crede. Come la storia – autentica o inventatanon si sa bene - di Der Tzadiq, il “giusto”convertito, il conte polacco WalentyPotocki innamorato dell’ebraismo, divenutoebreo alla fine del Settecento e bruciato sulrogo sulla piazza del Castello a Vilna. Forsefu una storia inventata a tavolino da unoscrittore polacco dell’Ottocento, ma gli ebreidi Vilna recitavano la preghiera per il nobilepolacco convertito ogni anno nell’anniversariodella sua esecuzione. Per due secoli la suatomba è stata oggetto di venerazione e fontedi profezie per l’intero popolo ebraico diVilna, fino alla fine. Una di questa diceva chel’albero cresciuto sulla sua tomba si sarebbeseccato prima di una grande sciagura per lacittà: ebbene, quell’albero fu tagliato da qualcuno,proprio alla vigila dell’occupazionetedesca.Nel 1924 il medico filosofo tedesco-ebreoAlfred Doeblin fu travolto dall’immensaenergia di questo luogo dove gli ebrei eranocosì strani, così diversi dagli “intellettualiagili, commercianti che si grogiolano nell’amoreper la famiglia, individui insicuri, infelici,sensibili” della Germania. I “litwaki” diVilna erano invece “vestiti con abiti occidentalidi gusto provinciale”, abitavano connaturalezza quel luogo incredibile dove tuttosi dirige verso l’anima, tutto ruota attornoall’anima. Il poeta Thomas Venclova canta lechiese di Vilna che “navigano nella valle delVilia come le flotte dei velieri”, la chiesa diSant’Anna, con “lingue di fuoco o lame dispade ficcate nel cielo”, le facciate degli edificiche “ondeggiano, si liquefano nell’aria”.La città è teatrale e non a caso qui è nato ilteatro espressionista di Necrosius, uno deipiù straordinari d’Europa. Teatrale era ilbarocco dei gesuiti, teatrali erano le battagliedella Controriforma contro i “miscredenti”con i loro spettacoli dell’orrore dove solo ilsangue dava la dimensione della realtà.Teatrale era la vita stessa dei vicoli, strettidalle arcate orientali dove non esisteva lafrontiera tra spazio privato e spazio pubblico.Lo scrittore russo Josif Brodski narra “gliangeli gesticolanti sui tetti delle inestimabilichiese di Vilna”. Gli abitanti dei cieli sono iveri abitanti della città.Se Odessa ebraica, sul Mar Nero, era rivoltaal futuro, Vilna guardava al passato. Quinell’Ottocento si raccoglievano preziosimanoscritti, si decifravano le antiche iscrizionisulle tombe, si restauravano pazientementegenealogie fino ai tempi di Salomone.A Vilna si progettava anche il millenariocalendario ebraico, come se l’avvenire nondovesse mai avere una scadenza. Scrisse ilpoeta Thomas Venclova: “Il carattere autoironico,razionale e contenuto degli ebrei diVilna è cosi diverso dal passionale infantilismodei chassidim ucraini e dal patriacalismodei levantini sefarditi, che si può dire che lostato di Israele, senza Vilna, non sarebbe mainato”.Cammino in un labirinto. Le facciate dellecase si respingono e sostengono a vicendacon i loro portici e contrafforti, per salvarel’angusto spazio dei vicoli. Tutto è piccolo,minuto, tutto preme, si infila, respinge. È lafollia del Barocco. La Madonna diOstrobrama appogiata su una luna largaquanto un corno di bufalo. Dolcezza e sofferenza.Occhi socchiusi, i raggi del sole sonoaguzzi e lunghi come frecce. Vilna, il bastionedella crociata gesuita nella trincea piùorientale del Vaticano, il miracolo di un esotismocontinentale che rinasce nello scampaniodi decine e decine di chiese.Gabriel Józefowicz, un signore anziano egentile, incede con prudenza sul selciato consunto.”Dai noi”, dice, “il tempo non coincidené con quello degli ebrei né dei cattoliciné degli ortodossi né dei tartari”. ChiamaDio col nome di Tienri, come le popolazioninomadi turche, fino allo stesso Altaj. È uncaraita, rappresentante di una setta ebraicasull’orlo dell’estinzione. La lingua in cui parlanolui e altri diciannove caraiti dell’interaLituania è l’arcaica lingua dei “cipciachi”, faparte delle lingue altaiche. Si è salvata comeuna mosca in un pezzo d’ambra.”Caraiti si è, non si diventa”, spiega. “Perquesto ogni anno siamo di meno e ogni annoscompaiono le parole”. Prima della rivoluzione bolscevica c’erano dodicimila caraiti.Oggi in tutto l’Est sono duecentocinquanta.L’ultima festa di nozze si è svolta cinqueanni fa. L’ultimo battesimo quattro anni fa.Sono rimaste una settantina di parole. Lasetta nacque nell’VIII sec. d. C. a Babilonia,che era allora il centro della diaspora ebraicae restò lì anche dopo l’invasione araba.I caraiti ritenevano che le glosse del Talmudfossero una copia alterata delle Scritture perchéun uomo attraverso cui non parla l’angelosi può sempre sbagliare. Per questa loroostinazione nel rigettare i commenti ai librisacri sono stati considerati i precursori dellaRiforma protestante. Un giorno a Baghdad, irabbini condussero i caraiti in giudiziodavanti al califfo. Ma il califfo, malgrado l’iradei rabbini e i ferventi anatemi, deliberò chesi trattava di veri ebrei, solo con una diversainterpretazione della tradizione. Il capo dellasetta, Anan Ben David – chiamato poi ilLutero del Giudaesimo – non invano avevapreso lezioni sull’interpretazione delleScritture. “Cara” significa leggere, “caraiti”,il popolo del Libro. Il califfo li lasciò in pace.Una storia incredibile di sopravvivenza di unsolo, ostinato pensiero. La setta si rifugiò aimargini degli imperi. Cacciati dalla Palestinae dall’Egitto dopo il terremoto della PrimaCrociata, i caraiti si trasferirono nell’Imperobizantino e poi in Europa orientale. Là fuinghiottita dal tollerante impero dei Chazari,un popolo sciamano di origine altaica chepopolava le terre tra il Volga e il Danubio.Dopo ricerche approfondite, lo studio divarie lingue e l’invio di messi, già nel VIIsec. i chazari decisero di scegliere la religionepiù consona, optando, con stupore dei rabbini,per quella più antica, l’ebraica. Fu l’unicocaso nella storia postbiblica di una conversionedi massa al giudaesimo.”Qui nel sec. XVIII insegnava il Gaon, cioè ilgrande maestro spirituale, la più alta autoritàdella communità ebraica, il rabbino Elia. Quisi studiava il Talmud fino al 1941”. Il nostroCicerone di Vilna ci conduce lungo una filadi case basse dove all’improvviso tutto siaddensa, la prospettiva barocca viene segnatadalle faglie, passaggi segreti e scorciatoie.“Nulla divideva due mondi”, dice. “Le casefurono incastrate l’una nell’altra, il murodell’abitazione del rabbino diventava cassaacustica per le campane e i due tempi scorrevanoparalleli in armonia”. La frontiera tradue mondi fu invisibile, passava nell’anima.“Persino la città ha assorbito il ritmo delloshabbat che fu rispettato da tutti i suoi abitanti”.I nostri passi rimbombano nel silenzio.Come immaginare lo scalpiccio di decine dipiedi, il fruscio dei libri che vengono aperti edei rotoli che vengono sciolti, sussurri indistinti,chiacchiericci che si smorzano, il gridodella preghiera, i colpi della bacchetta con ildito d’argento in cima, che segue ogni singolalettera, da destra a sinistra, senza perdernenessuna, restituendo solo alla fine respiro,vocali e senso?”Vede, in questa strada c’era un cortile,Shulhojf lo chiamavano, il mondo a parte,non serviva nemmeno uscirne, bastava pertutta la vita. C’era fretta, chiasso, confusione,eccitazione, calca: provi a immaginarselo.Uno se ne andava da una parte, un altroaspettava qualcosa, un terzo correva. E tuttoera così normale, dice”.“Vanno e vengono, girano e rigirano. Unmendicante corre verso casa, un benestanterientra a casa. Il piccolo del seder corre acasa. Papà va a casa", scrisse Chagall suun’altra città del Nord, Vitebsk, oggi inBielorussia. “Là c’era un mondo intero, i piùsplendidi paradisi, e un’incurabile melanconia,il sogno e la verità".Il prestigio del rabbino Elia di Vilna eraquasi come quello del papa di Roma e lafama della sua saggezza si diffuse perl’Europa intera. Già a sette anni ammaestravain sinagoga, aveva abbandonato la famigliaper dedicarsi agli studi. Grazie al Gaon eai suoi successori, per vari secoli a venireVilna divenne il fulcro degli studi ebraici, laGerusalemme del nord.Era un’epoca intensa, strana. Il XVII e ilXVIII secolo in Europa orientale furono iltempo di terribili pogrom, e un particolaresenso del trionfo del male invade gli ebrei, ilmale i cui segni venivano sempre più spessointerpretati come “dolori del parto delMessia". Del resto il Messia può arrivare inogni generazione e può diventarlo qualsivogliaebreo. Quando il male diventa onnipresentee la nostalgia per Dio si fa insopportabile,forse proprio allora il processo di riparazionedel mondo si avvicina all’apice, conl’aiuto della storia, che si rivolta e accelera lasua corsa, servendosi appunto del male, perabbreviare il tempo dell’attesa. Così alloraveniva spiegata la mala sorte.Sull’onda delle esaltazioni messianiche all’iniziodel XVIII secolo a Medziboz in Ucrainacomparve un nuovo movimento, quello deichassidim, ovvero dei pii, folli in Dio.Tutto ebbe inizio da un ebreo taumaturgo,Israel ben Eliezer, chiamato Baal Shem Tov,Il Maestro del Buon Nome, cosa che contraddistingueil profeta messianico.Baal Shem Tov, Besht dalle sue iniziali, portòil cielo sulla terra. Era una vera forza dellanatura, un San Francesco ebreo. Diceva che ilmondo è pieno di bagliori nascosti nellenostre piccole mani, ammaestrava a danzarecome fanno gli uccelli. Vedeva i legami cheunivano le cose al di là dello spazio e deltempo, compiva miracoli e trasformava lepersone. Si trascinò dietro intere schiere deiseguaci, persuase perfino i rabbini. Anche ilMaestro del Buon Nome volle andare nellaTerra di Israele, ma non ci arrivò mai. A uncerto punto del viaggio si persuase “che icieli gli avevano sottratto la saggezza e laTorà e occorreva tornare a casa”– comescrissero i suoi discepoli. Dal suo soggiornoIstanbul invece che saggezze riportò nuovetecniche di preghiera in stato di trance.Venivano da oriente, erano efficaci, avevanogrande forza e destavano il panico. Beshtnon disse mai da dove aveva tratto ispirazione.Errava in stato di trance come uno sciamano,visitava i palazzi celesti, apprendeva imisteri della Torà, ascoltava le disposizionidivine, interveniva nelle faccende umane.Besht fu maledetto dal Gaon di Vilna."Siano oppressi e si disperdano come pula alvento”, tuonava il rabbino e gettava sugliestatici un anatema dietro l’altro, un po’come il profeta Elia contro gli adoratori diBaal. Quando i loro figli si univano ai folli diDio, i genitori si mettevano a sedere perterra in segno di lutto. Il nuovo movimentodilagava come un’epidemia per l’interaEuropa orientale, dava l’inizio alle dinastie escuole, trascinando con sé migliaia di giovaniebrei, una generazione dopo l’altra. All’inizioi suoi sostenitori furono perseguitati, gettatiin carcere, ricoperti di maledizioni. Con ilpassar del tempo, seppur con ribrezzo, conun’incessante indignazione, fu consideratodagli ebrei come un fatto compiuto."Emettono urlando parole disgustose egesticolano come indemoniati. Per loro ognigiorno è santo. Durante le loro preghiere lepareti tremano: loro spiegano il propriocomportamento con il fatto di risiedere coipensieri in mondi lontani”, denunciavano irabbini durante l’istruttoria del kahal diVilna.Quella corrente mistica attingeva a pienemani dal folklore ucraino, alla devozione cristianae perfino forse dalla setta estatica deichlysty ortodossi. L’ombra dell’Anticristo (edella fine del tempo) che sempre aveva avutoun enorme influsso sulla mentalità russa,incombeva in quei tempi anche sulla Russiaortodossa che stava anch’essa esplodendo nelcaos di sette e scismi, ardendo delle fiammedei roghi, degli anatemi e delle maledizioni.Il chassidismo fu un’ulteriore disgrazia pergli ebrei, lo scisma più grave, una lotta dell’intellettocon il cuore, della parola con ilcanto, dell’Occidente con l’Oriente.“Un ebreo riesce sempre a leggere i nostriLibri, anche se non li capisce”, dice l’hazan,cioè il sacerdote dei caraiti, Jozef Firkovic diTroki. Passeggiamo lungo le linde stradine diuna stazione balneare. Case colorate, villeggianti,bambini con il salvagente, i costuminicolorati e i sandaletti di plastica.Troki è un’isola sul lago e una cittadina fortificatadei caraiti pochi chilometri da Vilna.Dei ragazzi magri dalla pelle color miele ditiglio si esibiscono davanti a delle ragazze,tuffandosi nell’acqua scura da un alto ponte.“Io posso capire i loro libri, anche se nonsono capace di leggerli. Perché non conoscol’alfabeto. Leggo perciò la Torà in carattericirillici”.“Noi non avevamo un nostro alfabeto", ciracconta Gabriel Jozefovic, “lo abbiamopreso dagli altri. Si vede bene nel nostrocimitero. Le scritte sono in ebraico, ma icaratteri cirillici, oppure in lituano, polacco erusso”.I Caraiti – come paguri – si stabilivano incastelli e monasteri abbandonati.Occupavano le vette, le rovine delle fortezzenelle isole rivestite di betulle.I posteri gli hanno attribuito nuovi antenatiturchi e un nuovo albero genealogico nonebraico, loro che tanto vorrebbero esserevicini all’origine, così tanto ebrei in fondo.Ma alla fine loro stessi si sono affezionati aquell’idea. Quando poi comparve la “scopadella storia”, prima della zarina pervicacementeantisemita e poi dei nazisti ossessionatidalle genealogie altrui, i caraiti, finiti inquesta parte del mondo così poco consona –l’Europa orientale – non furono ritenutiebrei.Poco prima dello scoppio della Seconda guerramondiale il caraita Mer Duvan scrisse aBerlino: “Che ne sarà di noi altri?”Gabriel Jozefovic ha cercato una rispostanegli archivi. L’ha trovata all’anno 1936: larisposta era su tutti i giornali polacchi etedeschi. I nazisti avevano portato a terminele loro spedizioni pseudoantropologiche. Gliesperti tedeschi di antenati avevano misuratonasi e occhi, quelli italiani analizzato ilsangue.“I caraiti non sono il rabbini. Sono discendentidei chazari. Turchi”, venne decretato aBerlino. “Ma ciascuno deve provare personalmentele proprie origini. Il popolo interonon ha ancora ricevuto la grazia”.Così scrivevano i giornali.Prima della guerra, a Troki, un isolotto fortificatoin mezzo a un lago circondato dabetulle, abitavano settecento ebrei e settecentocaraiti.Quelli che furono riconosciuti come turchipotevano vivere e stare a guardare ancoraper un po’ (non a caso portavano i nomidegli arcangeli ebrei).Gabriel Jozefovic vide quando fucilarono ilsuo spazzino ebreo. Michal Cajkovski videquando fucilarono il suo lattaio ebreo. Eanche come morivano gli altri seicentonovantotto.I re polacchi confermavano privilegi ai caraiti.Per il valore, per la fedeltà allo Statopolacco. Avevano dei bellissimi orti. Fu cosìfino ai sovietici.“L’ultima nostra festa del raccolto fu neltrentotto. L’anno dopo ci presero la terra edistrussero i templi. A Charkov oggì nuotanonel tempio caraita”.Michal Czajkowski raddrizza sulla parete ilritratto di un suo antenato con un fez turco,rosso.“Lo sa, noi siamo in Europa. La nostra terraè rimasta in Asia.E l’Asia ha inizio dopo Troki”.“E quegli ultimi ebrei della Russia sovieticaerano così terribilmente asiatici, selvaggi enon sapevano nulla di sé. Una nonna silenziosasdraiata sulla stufa, un ritratto delrabbino in mezzo a ricordi di famiglia e poinient’altro. Si fermavano per qualchetempo in Europa, cioè da noi a Vilna, perchése no nessuno in Israele li avrebbe accettati.Qui sono andati a scuola, qui hanno appresocosa sia la religione ebraica, qui le donneper la prima volta hanno fatto il bagnorituale, anche se per alcune era troppo tardi,avevano già avuto la menopausa.Perché tra di noi e la Russia ci sono trent’annidi differenza.Trent’anni di Asia sono molti. Quelli peggiorisono stati gli anni Trenta. La Lituaniaè stata annessa alla Russia sovietica solo nel1945”.Lucia, la segretaria del rabbino, ci spiegatutto. I suoi genitori, che erano di primadella guerra, andavano ancora in sinagoga,lei, nata dopo la guerra, ha aderito agliscout del regime. Siamo a Chabad, la sededei giovani chassidim. Giovani, perché sonodivenuti ebrei appena dieci anni fa. ChaBaDè l’acronimo delle parole “Saggezza”,“Comprensione”, “Sapere” ed è un movimentoche coniuga la mistica con la pratica,l’estasi con la missione, le speculazionicabalistiche con la politica e che è insolitamenteaperto ai nuovi arrivati e incredibilementepopolare in tutto il mondo ebraico.Un movimento messianico.Nel 1991 la CNN ha riportato che “i chassidimdi Brooklyn proclamano l’avvento delMessia”. Si trattava del settimo e ultimotzaddik dei chassidim del ChaBad,Menachim Mendel. Ma non bastava: dopola sua morte nel 1994 negli Stati Uniti,ormai su modello della più grande eresiaebraica, il cristianesimo, i suoi seguaci nehanno proclamato la resurrezione. È statoMenachem Mendel, “Melech haMoshiach”,il Re-Messia, a dire che bisognava abbandonareper sempre la Polonia, la terra maledetta.Lunedì, giovedì e sabato all’alba a Vilna invia Zawalna risuona un canto di gioia.Pregano sulle scale della sinagoga avvolti inbianchi veli. Gli scarsi passanti affrettano ilpasso. La porta della Sinagoga Corale, dallafacciata in stile moresco, l’unica sopravvissutaper i miracolo delle cento sinagoghe diVilna distrutte, bruciate, fatte esplodere,bombardate, spianate dai bulldozer, è sbarrataa tripla mandata. Un ragazzo assonnatosi ferma perplesso, strabuzza gli occhi, nellasua borsa della spesa sbattono delle bottiglievuote di latte. Anche Eva cerca di cantare,divaricando saldamente le gambe inmezzo alla via. È ubriaca, dall’alba, da ieri,da sempre? Sgattaiola poi dentro al cancellodella sinagoga, arrampicandosi a fatica sullescale, si mette a sedere in un angolo e siaddormenta.“Ma a chi possono interessare a Vilna gliultimi quindici ebrei, in una città che si èliberata di metà dei suoi abitanti?”, michiede poi il cantore Wulf, liberando l’avambracciodai filatteri.Un elegante giovane ebreo di Brooklyn, invisita nella città, si risistema attentamentela manica sinistra della camicia. Ha dellelucide scarpe nere, una giacca conforme chesembra nuova, un berretto conforme dastudente di jeshiva. E poi il gruppetto degliultimi ebrei di Vilna, con le loro scarpe daginnastica consunte, i jeans logori e i golfinfeltriti.“Sono nato a Vilna nel 1943. Il buon annoper nascere, vero? Amo Vilna. È la miacittà. Piena di luce delicata, e di poesia.Della mia famiglia non è sopravissuto nessuno.Ma qui conosco ogni pietra. E perchémai dovrei andare in Israele?” T. si aggiustain capo la barchetta di carta di giornale – unquotidiano di Vilna – e si prepara con calmaalla preghiera.


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